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“Una delle esperienze più gratificanti della mia vita. Dal nostro arrivo a Banja Luka mi sono subito sentita accolta da mille sorrisi e da una grande forza di volontà”.


Così Silvia Pellicani, una delle partecipanti, racconta la Scuola di Pace, il campo estivo Caritas a Banja Luka in Bosnia Erzegovina dal 21 al 31 agosto.
Organizzato da Caritas Vittorio Veneto assieme a Caritas Banja Luka e all'associazione giovanile bosniaca multietnica e multireligiosa Youth For Peace, è arrivato alla tredicesima edizione. Invariata la struttura, che combina momenti di riflessione e approfondimento a volontariato al servizio della comunità, senza dimenticare le visite di conoscenza di Banja Luka e dintorni.


“Confrontandomi con persone della mia stessa nazionalità e in egual modo con persone di un’altra – racconta Martina Piccin, una dei volontari - ho ascoltato opinioni che a volte convergevano e a volte divergevano. I nostri dialoghi, anche grazie agli educatori presenti, hanno sempre avuto una base di rispetto, in particolar modo per le opinioni altrui”.

“Mi sono resa conto – riflette Silvia Pellicani - che far parte di una realtà come l’Unione Europea non è un fatto scontato, ho visto dei ragazzi che combattono per farne parte e che credono nei valori che essa si impegna a trasmettere. I ragazzi bosniaci che ho conosciuto sono persone brillanti e determinate nel voler cambiare e nel voler agire concretamente nella loro società. Questo mi ha portato ad ammirarli, perché una delle cose che mi fa maggiormente soffrire è vedere il disinteresse che spesso ci caratterizza nei confronti della realtà”.

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“Le attività di volontariato sono state tutte molto coinvolgenti dal punto di vista emotivo”, racconta Aissata Ndongo. Un'esperienza in particolare le ha lasciato una traccia: quando sono andati a pulire, pitturare, riportare un livello perlomeno dignitoso la casa in cui una donna viveva sola.

“E stato il giorno più difficile - continua- non riuscivo a capacitarmi del fatto che una persona anziana potesse essere lasciata a se stessa in quelle condizioni, ma la cosa che mi faceva più arrabbiare era che a nemmeno due isolati c'era una villa gigantesca con piscina”.

“Non avevo mai visto – commenta, riguardo alla stessa esperienza. Silvia Pellicani- cosa volesse dire vivere in povertà e aver aiutato, anche solo per poco e con i pochi mezzi che avevamo, una persona in difficoltà mi ha riempito di gioia. Essere solidali fa parte del nostro essere umani, e a parer mio è già da qui che parte il nostro costruire la pace”.

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“Quello che mi riporto a casa- commenta Aissata Ndongo - è la consapevolezza che i nostri vicini bosniaci vivono in delle condizioni che noi non possiamo immaginare e credo anche che non dobbiamo accettare”.

“Attraverso questi dieci giorni – dice Piccin- ho affinato la consapevolezza che l’incontro con le diversità è il miglior modo per arricchirsi di pace e portarla con sé anche a casa”.

“Dopo tutto ciò che ci siamo detti e abbiamo fatto assieme – conclude Pellicani- non posso pensare di rimanere con le mani in mano, e spero nel mio piccolo di continuare ad aiutare chi ne ha bisogno e di far rimanere vivo il ricordo di questa esperienza”.

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