Benvenuta

Quando da tempo hai qualcosa dentro che ogni tanto affiora in modo più o meno intenso o inaspettato, che un po' alla volta ti cattura i pensieri e si fa trovare senza che sia tu a cercarlo, allora è il momento di prenderlo in mano, di guardarlo bene e decidere cosa fare.
E così è stato.


La realtà carceraria era per me sconosciuta, lontana, anonima, ma nello stesso tempo mi era vicina, seppure “al contrario”, nel senso che rappresentava per me la negazione di ciò che considero importante e vitale.
La situazione di non libertà, le storie di vita andate storte, le prospettive future recise o comunque compromesse che il carcere detiene, mi ponevano domande riguardo alla vita, alla fragilità umana, agli sbandamenti possibili, al coraggio e al bisogno di ricominciare, alla necessità di perdonarsi, perdonare, essere perdonati. Desideravo essere raggiunta da questa realtà e confrontarmi con essa, e il modo per farlo era entrarci e vedere volti, conoscere nomi, incrociare vite e ascoltarle.

Da poco più di un anno entro nel carcere di Treviso la domenica mattina, a settimane alterne, per vivere assieme ai detenuti che vi partecipano la Liturgia della Parola guidata da alcune volontarie che da anni svolgono questo servizio.
Ogni quindici giorni inoltre mi affianco ad una cooperatrice pastorale di Treviso che offre ai detenuti uno spazio di ascolto individuale, e un momento di preghiera aperto a tutti.

Nel tempo la realtà carceraria mi è diventata familiare, perché familiari mi sono diventate le persone recluse che fin qui ho avuto modo di incontrare e ascoltare. La loro situazione di vita è sì distante dalla mia, ma non lo sono le loro fragilità, speranze, revisioni interiori; non lo è il loro bisogno di sentirsi comunque e sempre ascoltati e voluti bene, di poter ricominciare e pensare ad un futuro migliore, di essere riconosciuti nella propria dignità di persone e non identificati con gli errori commessi.

La prima volta che i detenuti mi hanno incontrata mi hanno rivolto un caloroso benvenuta, offrendomi così la possibilità di partecipare in qualche modo alle loro vite, ai loro stati d’animo e alle loro attese.
Li ringrazio. L’umana fragilità ha percorsi e sbocchi diversi per ciascuno, ma rimane la condizione che ci accomuna tutti e che per tutti può diventare la realtà maestra per imparare a misericordiare, come dice papa Francesco.


Anche l’uomo Gesù ha conosciuto la fragilità e invece di scansarla, ostentarla o nasconderla, l’ha accolta e assunta amorevolmente. Forse per questo si è sentito benvenuto tra i peccatori, i piccoli, gli ultimi; libero di essere tra loro e per loro quello che era, misericordia incarnata del Padre, amore ospitale che attrae e redime.
L’altro sono io, ha detto qualcuno, e penso sia vero. Anche quando l’altro è incarcerato.

Rita, dell’Ordo Virginum

I cookie ci aiutano ad erogare servizi di qualità. Utilizzando i nostri servizi, l'utente accetta le nostre modalità d'uso dei cookie. Approfondisci