Antonio Fingolo è il referente della Caritas di Ceggia.
Attraverso l'opera dei Centri di ascolto ha potuto conoscere da vicino molte esperienze di povertà, che gli hanno permesso di non fermarsi a idee astratte, ma di incontrare lo sguardo di diverse persone.
E lasciarsi interrogare dalla loro vita.

I poveri. Si sta presto a parlare di poveri, ma dove, chi sono i poveri?

Secondo il dizionario della lingua italiana, il povero è colui che esprime povertà, miseria, mancanza di mezzi, riferito a persona o a comunità di persone, che ha appena il necessario per vivere e che spesso manca anche di quello. Anteposto al nome, esprime talvolta sentimenti diversi, senza che vi sia per nulla l'idea della povertà;

può indicare:

a) compassione, commiserazione: "Povera vedova!";
b) costernazione: "Povero me!";
c) minaccia: "Povero te!";
d) pietà religiosa: "I nostri poveri morti".

A seconda di come vediamo il problema, diamo un significato, un valore diverso ai nostri concetti o sentimenti.
Parlare di poveri allora diventa più impegnativo: bisogna entrare in relazione con chi abbiamo di fronte, con chi ti cerca per una borsa spesa o una cucina. In Caritas ho visto e incontrato diverse persone: singoli o famiglie, arrivate spesso da un altro "mondo", però con molta dignità, voglia di integrarsi, mandare i figli a scuola, trovare un lavoro, parlare con le persone, con gli insegnanti, con il medico, bere un caffè in compagnia, preparare un piatto tipico del proprio paese e poi consumarlo assieme… In tutti ho colto un profondo desiderio di sentirsi accolti, con le proprie esperienze, capacità, cultura.

Diventa difficile allora parlare di poveri. Perché essi altro non sono che persone, in nulla diverse da noi. Se trovano un lavoro lo svolgono con capacità, con dedizione, anzi fanno lavori che molto spesso noi non vogliamo più svolgere, spesso sottopagati, sfruttati, hanno contratti da fame.

La Chiesa, gli operatori, ma anche chiunque si sente di essere un "buon cristiano" dovrebbe tendere la mano a queste persone: del resto, se non riusciamo a fare il primo passo noi, chi può farlo? Le parole non bastano più: c'è bisogno di gesti concreti, perché le belle formalità non rendono testimonianza dell'essere Chiesa. Bisogna dare voce anche alle loro sofferenze, ai soprusi, alle prepotenze di chi abusa della loro fragilità. 
D'altra parte, entrare in empatia con il povero scandalizza, perché non se ne trae vantaggio.
Occorre saper guardare in faccia la persona, tendere la mano, in un esercizio di reciproca fiducia.

Anch'io a volte mi sento povero, perché non riesco a capire quale sia il bisogno della persona. Trovarsi di fronte a una mamma che non ce la fa più con la figlia ammalata, le forze che con l'età si affievoliscono…
Mi sono chiesto: che tipo di aiuto possiamo dare noi a questa mamma? È in condizioni come queste che ti senti disarmato. Ecco allora che lo Spirito ti illumina e ti mette sulle labbra la parola giusta che consola, che incoraggia, che dà forza per stare vicino a quella figlia.

Leggo in Evangelii Gaudium: "Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita" (274). E anch'io mi sento meno povero.

Antonio Fingolo
Caritas di Ceggia

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