Domenica 19 novembre ricorre la VII Giornata mondiale dei poveri. L’invito scelto per quest’anno da Papa Francesco è quello contenuto nel libro di Tobia a «Non distogliere lo sguardo dal povero» (Tb 4,7).

Nella parole del direttore della Caritas di Vittorio Veneto, Don Andrea Forest, il senso profondo del messaggio del Santo Padre.

“Uno sguardo può essere decisivo. Può determinare inclusione o esclusione, sicurezza o minaccia, ira o perdono. Uno sguardo può essere curioso fino all’invadenza e alla violenza, oppure pudico e tenero, carico di rispetto e di attenzione. Può comunicare interesse e attrattiva, oppure noia e sufficienza.
Papa Francesco, nel suo Messaggio per questa Giornata mondiale dei poveri, ci chiede di “Non distogliere lo sguardo dal povero”. Sono parole tratte dal libro biblico di Tobia, in cui Tobi – padre di Tobia – uomo noto a tutti per pietà e carità, si trova ad un certo momento a vivere la prova della cecità. Sfidato da questo, dall’impossibilità di avere ancora uno sguardo limpido e vivace, Tobi imparerà ancor di più ad allenare lo sguardo del cuore, per “riconoscere ancora meglio tante forme di povertà da cui era circondato” (cfr. Messaggio).

Tra i tanti “invisibili” del nostro tempo, vorremmo porre quest’anno l’attenzione su quanti vivono l’esperienza del carcere. Persone che certamente hanno compiuto errori e reati, ma che la società, anziché preoccuparsi di recuperare e reintegrare, ritiene di dover nascondere dietro a muri invalicabili e dentro stanze anguste e sovraffollate. L’esperienza del gruppo “Il Nodo”, afferente alla Caritas diocesana, ha toccato con mano in questi ultimi anni il mondo del carcere e, all’inizio del 2023, ha aderito al Manifesto della Giustizia Riparativa, elaborato da un Tavolo provinciale dedicato a questo tema e promosso, fra gli altri, dall’associazione La Voce, operativa a livello locale.

La Giustizia Riparativa – a cui era ispirata la riforma del sistema carcerario a firma dell’ex ministro Marta Cartabia – rappresenta uno sguardo nuovo sulle relazioni tra rei, vittime e società. Si tratta di una impostazione che intende superare la diffusa concezione “retributiva” della giustizia, che semplicemente punisce il reo privandolo della libertà, ma lasciando alla coscienza personale una eventuale revisione della propria vita e dei propri valori morali. Ma ciò avviene di rado. È infatti un dato incontrovertibile l’alta percentuale di recidiva tra coloro che escono dal carcere, a riprova del fatto che ogni istituto tradizionale di correzione, non corregge affatto. Anzi, rischia di annichilire ancor di più la persona, rendendola persuasa che non gli resta altra strada che la delinquenza. Nonostante l’ammirevole impegno e la solerte dedizione con cui i vari operatori vivono il proprio servizio, ricomporre la giustizia con sguardi di misericordia 3 il carcere così come lo conosciamo offusca la dignità della persona e difficilmente offre l’occasione per una ripartenza.

La Giustizia Riparativa, al contrario, lavora sulle relazioni, sulla presa di consapevolezza del male commesso, sulla possibilità di riparare, nei casi migliori anche con una vera e propria riconciliazione tra le persone coinvolte. Noto, fra tutti, è il caso di Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, nel suo convinto percorso di Giustizia Riparativa compiuto insieme ad alcuni ex brigatisti che parteciparono al sequestro e all’uccisione del padre.

Guardare con il cuore, come Tobi: questo è il primo passo che apre cammini di mediazione e di riconciliazione, imparando a mettersi nei panni dell’altro – reo o vittima – non semplicemente per comprenderne lo stato d’animo, ma per ripartire dall’umanità che accomuna entrambi.
Vivere percorsi di Giustizia Riparativa è prendersi cura dell’altro: eco indubitabile del Vangelo della misericordia, che non vuol dire semplicisticamente dimenticare rimuovendo l’ingiustizia subita. Vuol dire vedere l’invisibile, spostando lo sguardo dal passato al futuro, dal “ciò-che-è-stato” al “ciò-che-può-essere”, dal “museo” che conserva i motivi della disperazione al “sogno” di una speranza protesa in avanti.

La Giustizia Riparativa diventa così anche un modello di relazioni quotidiane, per imparare l’arte di “ag-giustare”: una giustizia cioè preoccupata di ricomporre le fratture, anziché esasperarle distanziando le parti in causa. L’arte di ag-giustare, di riparare, di cercare insieme la giustizia, diventa uno stimolante antidoto alla “cultura dello scarto” denunciata da papa Francesco. Sì, anche chi è “rotto dentro” può essere ag-giustato, ricondotto nei sentieri della giustizia, anziché essere scartato e accantonato.

Per questo, a noi cristiani come a tutti gli uomini di buona volontà, è chiesto di percorrere i sentieri di una giustizia diversa, che vede insieme le esigenze della verità e della carità, che ha a cuore chi è ferito, a cominciare da sé stessi. È la giustizia della misericordia, di cui Gesù ci ha dato prova, e di cui oggi il mondo ha tanto bisogno. Ogni fronte di guerra, dalla Palestina all’Ucraina, dalle tensioni sociali alle liti tra vicini di casa, ci chiede uno sguardo diverso: “È una questione di giustizia che ci impegna tutti a cercarci e a incontrarci reciprocamente [… per] non distogliere lo sguardo dal povero e a mantenerlo sempre fisso sul volto umano e divino del Signore Gesù Cristo” (papa Francesco, Messaggio per la VII Giornata mondiale dei poveri).

 

Don Andrea Forest
Direttore della Caritas diocesana di Vittorio Veneto

 

Materiale per riflettere

Per l’occasione la Caritas Vittorio Veneto ha pensato a qualche spunto di approfondimento da offrire per poter essere utilizzato nella preparazione e nell’attesa a questa importante giornata.

Il sussidio liturgico ad opera della Caritas di Vittorio Veneto

L’inserto di approfondimento alla giornata pubblicato ne L’Azione

 

Foto della Caritas Italiana

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