Dallo stupore nasca una preghiera umile:
il nostro grazie a Dio
che ha voluto condividere con noi tutto
per non lasciarci mai soli
e per rendere santo
ogni palpito di umanità

(cfr. Papa Francesco, Admirabile signum)

Cari amici,
il trascorrere del tempo ci fa rivivere ancora una volta il Natale del Signore Gesù. Non per tornare indietro ed annullare la storia di due millenni, ma nella ricchezza che un anno in più ha aggiunto alla comprensione del Mistero dell’Incarnazione.

In questo anno in più che è trascorso dall’ultimo Natale portiamo con noi la novità di nuovi incontri ed esperienze vissute; nuove fatiche, ferite, dolori; nuovi sogni, attese, cominciamenti; nuove assenze, cadute, mancanze. È la ricchezza di una umanità che, nel bene e – purtroppo –anche nel male, continua ad essere una “Terra Santa” in cui Cristo continua a farsi presente con la sua luce, per dare senso e prospettiva a ciò che viviamo.

È una “Terra Santa” che assume connotazioni geografiche ed internazionali, in cui accanto a vecchie guerre che ancora provocano sangue, distanze e odio, si sono aggiunte nuove guerre che hanno preso corpo. Fra tutte, quella tra Israele e Palestina, in una spirale di violenza e di vendetta reciproca che ancor di più rendono significativo, a distanza di secoli, il desiderio di Dio di farsi uomo nella terra di Betlemme.

Ma “Terra Santa” è anche la Chiesa tutta, che desidera mettersi davvero in ascolto della voce dello Spirito per scoprirsi chiamata a vivere la dimensione sinodale del “camminare insieme”. Una Chiesa che desidera sempre più, pur fra resistenze e lentezze, pensarsi come comunità di fratelli e sorelle, con doni diversi ma con la stessa passione e responsabilità nell’annunciare il Vangelo.

È “Terra Santa” anche la nostra vita, con le sue molteplici sfaccettature: il nostro servizio, i nostri affetti, i nostri peccati, i nostri slanci di generosità, i nostri progetti. E questo per dirci che ogni giorno, nella sua ordinarietà, può essere il tempo propizio per riconoscere i germogli del Regno di Dio presente tra noi.

L’augurio che rivolgo a me e a tutti voi per questo Natale è quello di riuscire a riconoscere i segni di “santità” in ciò che viviamo. Si diventa “Terra Santa”, umanità santa, nella misura in cui il cuore non si lascia contagiare dal male, ma desidera custodire e far crescere i segni di bene che la misericordia di Dio suscita in mezzo a noi.

Terra Santa è un’umanità in cui il pessimismo sterile lascia il posto alla speranza, in cui il giudizio sugli altri non diventa un’etichetta che preclude la possibilità di lasciarsi sorprendere dalla ricchezza che ogni diversità rappresenta. Terra Santa è un’umanità in cui le ferite altrui smettono di essere uno stigma da cui prendere le distanze, ma suscitano compassione e prossimità. Terra Santa è un’umanità in cui perdono e riconciliazione non sono un’utopia inarrivabile, ma un desiderio concreto che lentamente plasma il cuore di chi lo coltiva. Ricordiamo tutti, a questo proposito, le parole di Gino Cecchettin, padre di Giulia, ennesima vittima di femminicidio: “Io voglio amare, non voglio odiare, perché l’odio ti porta via l’energia”.

Anche noi potremmo essere un granello di Terra Santa in ogni piccolo gesto che asseconda l’agire di Dio, quell’agire che è reso evidente nel Bambino di Betlemme. Oggi come allora Dio non si è stancato di aprire spiragli di salvezza: per questo continua ancora a dire il suo convinto “sì” per questa umanità, segnata da fatiche e ferite, nella certezza che essa può essere ancora capace di amare e di sperare.

A tutti, e di cuore: buon Natale!

Don Andrea Forest

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